- 3 Marzo 2023
- Posted by: Alessandro De Santis
- Categories: Notizie, Sicurezza stradale

Come riportato dall’Osservatore Romano “gli infortuni stradali hanno, in Africa, un impatto maggiore rispetto a malattie come la malaria, la tubercolosi e – in alcune zone – persino dell’Aids” e, come evidenziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo Global Status Report on Road Safety 2020, “il 90% delle vittime degli incidenti stradali si contano nei Paesi a basso e medio reddito nei quali circola solo il 48% dei veicoli del mondo”.
Uno degli obiettivi di PIARC – che annovera tra i suoi membri 125 governi nazionali, 3.000 soci in 142 Paesi in tutto il mondo e, circa, 850 Esperti operanti in 18 Comitati Tecnici Internazionali – è quello di favorire lo sviluppo della ricerca in materia di sicurezza, viabilità e trasporto stradale, nonché il libero e rapido scambio dei risultati della ricerca e delle best practice tra tutti i Paesi.
Questa condivisione, stimolata dagli indirizzi del Global Safety Forum dell’UNECE, che in questo senso rappresenta il nostro riferimento, si dirige, in special modo, verso quei Paesi che ne hanno più bisogno come, allo stato attuale, il continente africano e il subcontinente indiano.
Comincia con questo contributo un impegno di PIARC Italia volto alla condivisione sulle politiche messe in campo nel mondo relativamente alla sicurezza stradale i cui risultati saranno presentati sia al XXIX° Convegno Nazionale di PIARC Italia che si terrà il 24 e 25 maggio p.v. al Tempio di Vibia Sabina e Adriano di Roma che al XXVII° World Road Congress di PIARC che si terrà dal 2 al 6 ottobre p.v. a Praga.
Introduzione
Bridget Driscoll (1851 – 17 agosto 1896) fu il primo caso documentato di un pedone ucciso in uno scontro con un’automobile; la donna si trovava a Londra e stava attraversando la strada denominata Dolphin Terrace all’interno del parco del Crystal Palace quando fu investita da un’auto che aveva una velocità massima di 8 miglia all’ora (13 km/h) e che, si calcolò, al momento dell’impatto viaggiava a 4 miglia all’ora (6,4 km/h). |
Un testimone dell’epoca descrisse ai giornalisti l’andatura della macchina come “spericolata, veloce come un cavallo al galoppo” e la donna “disorientata alla vista dell’auto, immobilizzata dalla paura”, nonostante il conducente le avesse urlato di farsi da parte suonando, altresì, con la mano la pompa della tromba.
L’incidente si consumò solo poche settimane dopo l’Atto con cui il Parlamento britannico innalzò i limiti di velocità a 14 miglia orarie (23 km/h), dalle precedenti 2 per le città e 4 per le aree interurbane.
Oggi, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno, gli incidenti stradali:
– coinvolgono tra le 20 e le 50 milioni di persone; – ne uccidono circa 1,35 milioni; – provocano 70 milioni di feriti; – numeri più alti di quel che causano guerre, terrorismo, fame e denutrizione. Il 90% di queste morti avviene nei Paesi più poveri. |
Le Nazioni più colpite da questa vera e propria emergenza sono quelle colorate nelle varie tonalità di rosso nella cartina seguente e, ovviamente considerati i loro 2,8 miliardi di abitanti, il Subcontinente indiano e la Cina.
Questo avviene, principalmente, perché le economie emergenti sperimentano un aumento del traffico che il sistema infrastruttura stradale-organizzazioni deputate alla sicurezza stradale non è, ancora, in grado di supportare.
Il focus del presente contributo sarà quello di analizzare due di queste realtà di pari popolazione, quella africana (continente da 1,39 miliardi di abitanti) e quella indiana (subcontinente da 1,4 miliardi di abitanti), verranno, così, mostrate le statistiche e le principali azioni dei Governi e degli Stakeholders per arginare il fenomeno.
L’India e l’Africa sono, infatti, accomunati da diversi fattori: sono popolati da un immenso numero di abitanti che utilizzano le infrastrutture stradali nei più disparati dei modi: a piedi, in bicicletta, con carri trainati da bestiame e, ovviamente, con un parco a due, tre (i celeberrimi tuc tuc) e quattro ruote tanto eterogeneo quanto, spesso, obsoleto.
Nelle zone rurali le strade di grande comunicazione tagliano in due gli insediamenti costringendo le persone, che spesso vivono e lavorano in piccoli negozi unifamiliari, a continui e pericolosi attraversamenti dell’arteria senza, nella gran parte dei casi, le più elementari condizioni di sicurezza (semafori e strisce pedonali in primis).
Nelle città, inoltre, sono infinite le attività che si svolgono lungo le strade e, quindi, sarebbe necessario prevedere la segregazione di pedoni, biciclette e motocicli dalle corsie dove i veicoli a motore viaggiano a grande velocità.
Infine, il numero di sottopassaggi dovrebbe aumentare notevolmente; ciò consentirebbe alle comunità locali di circolare senza accedere alla / o attraversare la strada.
Viste le problematiche comuni alle due realtà analizzate, in conclusione del presente contributo, si mostrerà come quello della sicurezza stradale è un traguardo ambizioso che può e deve essere perseguito attraverso un approccio multidisciplinare e coordinato che necessita, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta nel suo Global Status Report on Road Safety di “una risposta internazionale alla prevenzione degli incidenti stradali”.
Focus sull’Africa
L’Africa è il peggior continente in termini di performance nel campo della sicurezza stradale: il tasso di mortalità, pari a 26,6 ogni 100.000 abitanti, è quasi tre volte quello europeo, e le proiezioni suggeriscono che – se non si invertirà la rotta – la mortalità per capita possa raddoppiare dal 2015 al 2030.
I numeri di cui sopra devono impressionare: i Paesi africani hanno, infatti, pochi veicoli a motore pro capite. In Sud Africa, il Paese della macro regione subsahariana più prospero, la cifra è di circa 170 abitanti ogni 1.000; in Nigeria, Paese a reddito medio-basso, è di circa 60. Nei Paesi a basso reddito come Tanzania, Gambia o Malawi i numeri diventano cifre singole. Volendo fare una comparazione con i Paesi industrializzati, basti pensare che negli Stati Uniti sono più di 800, circa 600 in Germania e 500 nei Paesi Bassi.
Mentre le morti sulle strade europee si stanno stabilizzando, in Africa, le organizzazioni responsabili della gestione della sicurezza stradale non dispongono delle conoscenze e delle competenze necessarie ad invertire il trend. I dati ufficiali ci dicono, infatti, che in Africa, ogni giorno, 650 persone perdono la vita sulle strade ma queste statistiche, a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono sottostimate del 400%; solamente il 50% dei Paesi africani hanno, infatti, un database nazionale dove vengono monitorati gli incidenti stradali e solamente 23 Nazioni africane su 54 considerano, come internazionalmente riconosciuto, il periodo di 30 giorni dopo l’incidente per legare la causa della morte all’evento stradale.
I veri numeri sarebbero, quindi, tragicamente più elevati attestandosi sulle 2.600 vite umane che, ogni giorno, cessano a causa, diretta o indiretta, degli incidenti stradali; si tratterebbe, quindi, di 949.000 morti l’anno.
Come se non bastasse, le proiezioni, guardando al futuro, non sono affatto confortanti in quanto – se il trend non dovesse invertirsi – entro il 2030 il tasso africano potrebbe quasi raddoppiare attestandosi attorno ai 50 morti ogni 100.000 abitanti.
È sufficiente, anche, dare un’occhiata alle tabelle pubblicate ogni anno dal Global Status report on Road Safety dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per comprendere la gravità della situazione che ha portato la stessa Banca Mondiale ha pubblicare ben 4 report sulla sicurezza stradale in Africa, nell’ambito della Global Road Safety Facility (GRSF) con l’intento di contrastare l’attuale trend: la Road Safety Data in Africa, l’ Africa Status Report on Road Safety in Africa, la Road Safety Strategies for African Cities e la Road Safety Culture in Africa, che analizzano i risultati per la sicurezza stradale nel continente africano.
L’obiettivo principale di questi report è sostenere la ricerca per raggiungere l’obiettivo di una riduzione del 50 per cento delle vittime della strada in Africa entro il 2030.
Secondo lo studio Road Safety Data In Africa 2019, anno precedente la pandemia, il 40% (in Europa il 48%) delle vittime degli incidenti stradali si trovava all’interno di un veicolo a 4 ruote; ma sono gli utenti fragili a pagare il prezzo più alto:
– il restante 40% (in Europa il 27%) delle vittime è, infatti, rappresentato da pedoni; – il 9% (in Europa l’11%) da occupanti di veicoli a 2 o 3 ruote (i celeberrimi tuc tuc); – il 4% (in Europa il 5%) da ciclisti. |
Secondo l’Unione Europea, in Africa, gli utenti fragili quali motociclisti, pedoni e ciclisti sono rappresentati in modo sproporzionato tra le vittime, poiché spesso vengono trascurati nella pianificazione e gestione delle strade. I bassi standard di sicurezza per i veicoli, la debole applicazione di comportamenti sicuri, la quasi totale assenza di controlli anti-alcool e droghe, il mancato uso delle cinture di sicurezza, e la mancanza di dati affidabili si aggiungono alle sfide che i responsabili politici e i gestori delle infrastrutture africani devono affrontare.
L’African Road Safety Observatory ha condotto una campagna di rilevazione nel merito delle cause degli incidenti stradali in Africa e, secondo i dati raccolti fino a febbraio 2019 pervenuti da 17 Paesi africani, i risultati dimostrano come, per l’utenza interessata dalla rilevazione, le categorie che causano maggiormente gli incidenti stradali sono, come meglio si potrà apprezzare dal grafico che segue:
- le infrastrutture stradali insicure;
- a pari merito con il comportamento sconsiderato dei guidatori;
- seguiti dalla non corretta gestione della sicurezza stradale da parte degli attori preposti al Road Safety Management.
In considerazione di quanto sopra, gli Stakeholder africani hanno, da tempo, realizzato che quello della sicurezza stradale è un obiettivo prioritario e, così:
- nel 2011 i Ministri dei Trasporti africani hanno adottato il Piano d’Azione per la Sicurezza Stradale in Africa, che mirava a ridurre del 50% gli incidenti stradali entro il 2020;
- nel 2016 hanno adottato la Carta Africana per la Sicurezza Stradale per creare un quadro politico panafricano per la sicurezza stradale;
- nel 2018 hanno dato vita all’Osservatorio Africano sulla Sicurezza Stradale;
- hanno iniziato a collaborare a progetti UE-Africa; un esempio chiave è il progetto Safer Africa (cofinanziato dall’UE nell’ambito del programma Horizon e che vede tra i partecipanti anche l’Università La Sapienza di Roma) nato per istituire una piattaforma di formazione e scambio di conoscenze UE-Africa a lungo termine i cui dati confluiranno, proprio, nell’Osservatorio Africano sulla Sicurezza Stradale sopra citato.
Il decennio che viviamo sarà decisivo per vedere se i dati a consuntivo riusciranno a mostrare quella inversione di tendenza così a lungo attesa.
Focus sull’India
Nel 2008 l’India ha superato la Cina quale Nazione più pericolosa del mondo in termini di sicurezza stradale: quell’anno, infatti, sono state 130.000 le persone morte nel Subcontinente contro le 90.000 dell’ex Celeste Impero; a quella data l’India rappresentava da sola il 10% degli incidenti mortali del mondo con un costo sociale degli infortuni che valeva il 3% del suo PIL.
Secondo dati pre-pandemia, nel 2019, in India, i veicoli a due ruote sono stati coinvolti nella più alta percentuale di vittime della strada: il 40%. Seguono i pedoni con circa il 35%, seguiti dai veicoli a quattro ruote con il 27% e dai ciclisti con il 7%.
Le rimanenti categorie sono costituite da veicoli trainati da animali e i carretti a trazione umana (fonte: https://www.roadsafetyfacility.org/country/india ). |
Le strade indiane sono da diversi anni in cima alla classifica internazionale dei decessi causati da incidenti stradali. La relazione annuale del Ministero della Strada e delle Autostrade indiano ci dice che nel 2019 si sono verificati in totale 449.002 incidenti stradali che hanno causato 151.113 morti; dato, questo, in netto aumento rispetto al 2005 (439.255 incidenti e 94.968 morti).
Ciò che colpisce è, anche, che la gravità degli incidenti, definita come il numero di persone uccise ogni 100 incidenti; questo dato è, infatti, aumentato bruscamente da 21,6 nel 2005 a 33,7 nel 2019.
Il 70% delle persone uccise si trovava nella fascia di età 18-45 anni.
All’interno del Paese, le autostrade nazionali hanno visto il 35,65% di tutte le vittime della strada, le autostrade dei singoli Stati costituenti l’India il 25,46% e le altre strade il 38,89%. Sebbene la quota percentuale di vittime della strada su “altre strade” sia la più alta, ciò che è significativo è che le autostrade nazionali e dei singoli Stati costituiscano solo il 5,04% di tutte le strade, ma siano rappresentate per il 61,11% di tutte le vittime della strada.
Un’analisi dettagliata rivela che le principali cause di incidente imputabili ai guidatori erano da ricondurre, nell’ordine, ad errore umano, eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza, guida sul lato sbagliato della strada, passaggio al semaforo rosso, conversazione al cellulare durante la guida, mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, guida senza patente e altre violazioni del codice della strada.
Gli incidenti, però, sono anche stati causati da carenze nell’ingegneria stradale che non ha saputo intervenire sui punti della rete di maggiore pericolosità oltre che sulle condizioni delle stesse strade. Ovviamente il parco veicolare, spesso obsoleto e sovraccaricato di passeggeri, ha contribuito sia all’elevato numero di incidenti che al numero di feriti e morti.
Profondamente preoccupato per l’elevato numero di incidenti stradali, il Governo indiano ha, così:
- costituito, nel 2005, un Comitato per formulare raccomandazioni in materia di sicurezza stradale che ha presentato la sua relazione nel 2007, elaborando un progetto di Politica Nazionale per la Sicurezza Stradale approvato nel 2010 dallo stesso Governo che, parimenti a quel che è stato rilevato per l’Africa, ha riconosciuto che gli incidenti stradali hanno colpito principalmente gli utenti della strada giovani, poveri e vulnerabili ed erano diventati un grave problema di salute pubblica;
- firmato nel 2015 la Dichiarazione di Brasilia, scaturente dalla conferenza mondiale sulla sicurezza stradale, e si è, dunque, impegnato a ridurre il numero di incidenti stradali e decessi del 50% entro il 2020. Ma questa missione non è, purtoppo, stata coronata dal successo che ci si aspettava;
- lanciato il Decennio di Azione per la Sicurezza Stradale, progetto che si propone, nuovamente, di invertire la rotta.
Anche in questo caso occorrerà attendere la fine della decade per apprezzare i risultati dello sforzo del subcontinente indiano in materia.
Conclusioni
Quanto sopra rende evidente che la sicurezza stradale è un traguardo ambizioso che può e deve essere perseguito attraverso un approccio multidisciplinare e coordinato che necessita, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta nel suo Global Status Report on Road Safety di “una risposta internazionale alla prevenzione degli incidenti stradali” secondo una metodologia delineata dall’UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel suo World Report on Road Traffic Injury Prevention, si propone di sollecitare i Governi e gli altri attori chiave circa l’urgente necessità di “aumentare e sostenere l’azione per prevenire gli incidenti stradali” e:
- aumentare la consapevolezza circa l’entità, dei fattori di rischio e degli impatti sui bilanci pubblici degli incidenti stradali a livello globale;
- richiamare l’attenzione sulla prevenibilità del problema e presentare strategie di intervento;
- chiedere un approccio coordinato in una serie di settori per affrontare il problema.
In questa ricerca della maggior sicurezza rientra, altresì, il modello “Vision Zero”, progetto di sicurezza stradale a lungo termine nato in Svezia nel 1997 avente lo scopo finale di eliminare totalmente i morti ed i feriti a causa di incidenti stradali, che si fonda sul postulato che la vita delle persone (come anche la loro salute) abbia un valore che non si può ridurre ad un “costo” da mettere a confronto con altri “costi” come quelli degli interventi per la messa in sicurezza delle strade.
“Vision Zero” è una posizione etica che afferma che non è accettabile che gli errori umani abbiano conseguenze fatali. Può essere visto come un cambio di paradigma, in cui la responsabilità ultima per la sicurezza stradale viene spostata dal singolo utente della strada a coloro che progettano il sistema di trasporto come, ad esempio, enti di gestione stradale, produttori di veicoli, legislatori, operatori del trasporto commerciale, polizia stradale etc..
La responsabilità dell’utente della strada è, invece, di rispettare leggi e regolamenti.
La tradizionale gestione della sicurezza stradale si concentrava quasi esclusivamente sulla prevenzione degli incidenti assumendo come postulato che la maggior parte degli incidenti fosse causata dagli improvvisi comportamenti degli utenti della strada. Lo scopo delle conseguenti politiche era, quindi, “cercare di creare l’essere umano perfetto che fa sempre la cosa giusta in tutte le situazioni poiché, se si verifica un incidente, la colpa può essere quasi sempre attribuita a un utente della strada”.
“Vision Zero” sfida questo approccio: il modello parte dal presupposto che non esistano esseri umani perfetti in quanto è umano commettere un errore, ma gli errori non dovrebbero costare la vita o la salute di una persona. Gli sforzi, quindi vanno indirizzati per progettare il sistema di trasporto in modo che gli incidenti non portino a gravi conseguenze. L’attenzione è, in definitiva, rivolta alle strade, ai veicoli e alle altre componenti del sistema di trasporto su strada, piuttosto che sul comportamento del singolo utente della strada.
L’approccio al Piano è quello suggerito a livello internazionale, basato sul cosiddetto “Safe System” che rappresenta un cambiamento importante rispetto all’approccio seguito nel passato in quanto ribalta la visione fatalistica secondo cui gli incidenti stradali sono il prezzo da pagare per garantire la mobilità e si prefigge l’obiettivo di eliminare le vittime di incidenti stradali e lesioni gravi a lungo termine, con obiettivi intermedi da definire negli anni.
“Vision Zero” ha, quindi, come punto di partenza la pianificazione delle strade, operazione che deve avvenire prima di considerazioni relative alla comodità e al costo; per esempio, se si ritiene che un impatto a oltre 30 chilometri orari tra un’auto e un pedone provochi, nell’80 per cento dei casi, la morte del pedone quindi, occorre:
- o progettare le strade dove è possibile che si scontrino auto o pedoni in modo da non permettere alle auto di oltrepassare i 30 chilometri orari;
- oppure devono essere costruite delle barriere fisiche che separino i pedoni dalle auto.
In tutta la Svezia sono, così, stati costruiti nel corso di 15 anni più di 12 mila sottopassaggi o ponti per gli attraversamenti pedonali, e strisce pedonali dotate di luci di segnalazione e dossi per rallentare le automobili in arrivo.
Il tema è, dunque, globale e impone azioni globali che l’ONU, sintetizza nei seguenti 5 Pilastri:
In definitiva, come mostrato a seguire, anche in continenti immensi come l’Africa o densamente popolati come il subcontinente indiano, perseguire la sicurezza stradale è possibile come mostra l’ultima immagine – di speranza – del presente contributo.
di Riccardo Oliveri
Fonti:
https://unece.org/DAM/trans/main/wp1/wp1doc/Final_Brasilia_declaration_EN.pdf
https://www.safeindia.ngo/road-safety
https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/44122/9789241563840_eng.pdf
file:///C:/Users/A24114h/Downloads/9241562609.pdf
Government Office of Sweden https://www.roadsafetysweden.com/
“Nel continente gli incidenti al volante uccidono più della malaria e dell’Aids – La sfida della sicurezza stradale in Africa”. https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-11/quo-258/la-sfida-della-sicurezza-stradale.html
Africa Transport Policy Program, organizzazione finanziata, anche, dal programma europeo Horizon https://www.ssatp.org/who-we-are
https://www.ssatp.org/topics/african-road-safety-observatory
https://www.ssatp.org/sites/ssatp/files/publication/SSATP%20Road%20Safety%20Data%20in%20Africa.pdf
https://www.ssatp.org/publication/africa-status-report-road-safety-2020
https://www.ssatp.org/publication/road-safety-strategies-african-cities-guide-development
https://ec.europa.eu/newsroom/move/items/656435/en
https://iris.uniroma1.it/retrieve/e3835326-40a3-15e8-e053-a505fe0a3de9/Usami_Improving-road-safety_2020.pdf
“Improving road safety knowledge in Africa through crowdsourcing. The African Road Safety Observatory”, pp. 418-425.
https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/44122/9789241563840_eng.pdf
“Nel continente gli incidenti al volante uccidono più della malaria e dell’Aids – La sfida della sicurezza stradale in Africa”. https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-11/quo-258/la-sfida-della-sicurezza-stradale.html
“Global Status Report on Road Safety 2020” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, pag. vii, https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/44122/9789241563840_eng.pdf