- 19 Aprile 2018
- Posted by: PIARC Italia
- Categoria: Notizie
Quella sera di Luglio del 2008, alle 9.40, Justas Ragauskas, 82 anni, novantatre chili, due bypass e una maschera dell’ossigeno sul naso, guardava sdraiato il soffitto dell’ambulanza che lo trasportava all’ospedale di Kaunas.
Erano passati solo dieci minuti, da quando era stato prelevato da casa, e aveva già maledetto il rumore della sirena, le cinghie che lo tenevano legato alla barella e quello strano odore di brandy che, nonostante la maschera, sentiva così intenso. Guardò gli occhiali a fondo di bottiglia del medico che gli teneva la mano, e disse: – Non ho mai pagato così cari quattro chili di carne.
– Non si sforzi – fu la risposta del medico.
Dieci ore prima, vicino Marijampolé, a sessanta chilometri a sud ovest di Kaunas, una coda di auto si snodava lungo la statale, che portava alla frontiera polacca, fra colline fiorite, casolari di legno, nuovi manifesti pubblicitari di Mc Donald’s e vecchi tralicci, scelti dalle cicogne per nidificare. Gli unici suoni erano quelli dei motori e di un’autoradio ad alto volume, che un gruppo di ragazzi ascoltava, ondeggiando e bevendo birra, dentro una vecchia Lada beige.
Dietro, su una Golf bianca, c’erano i coniugi Adamkus insieme alla moglie di Ragauskas.
Lui, Paulius, 56 anni, capelli biondi con riportino, due denti d’oro e un passato da operaio tessile, teneva con una mano il volante foderato di pelliccia e con l’altra mandava un bacio ogni mezz’ora alla madonna di Częstochowa, che lo guardava da una tesserina rettangolare di metallo appesa allo specchio retrovisore.
Accanto a lui, la moglie Vilma, 54 anni, due occhiaie e un fermacapelli fucsia a forma di farfalla, tamburellava con le unghie, dipinte dello stesso colore, sulla logora borsa di pelle, regalatale per i venticinque anni di matrimonio.
Dietro di lei sedeva Aldona Ragauskiene, 69 anni, ottantadue chili. Con una mano si teneva alla maniglia sopra il finestrino e con l’altra giocherellava con il manico dell’inseparabile bastone, appoggiato al sedile.
– Vilma, mi passi l’acqua? – chiese Adamkus.
– Certo. Quanto manca per Suwalki?
– Con questa coda penso ancora due ore, come il mese scorso. Signora, come va lì dietro?
– Bene, grazie, un po’ frastornata dopo quest’ora di macchina. Non pensavo che Suwalki fosse così distante.
– Infatti, di solito basta un’ora e mezza – disse Vilma smettendo di tamburellare e afferrando la bottiglia d’acqua nella borsa. – Ma, con questa crisi, sono proprio tanti i Lituani che vanno in Polonia a fare la spesa.
– E d’altra parte che fare? Io e Justas con la sua pensione non possiamo fare miracoli.
– Io dico che un miracolo lo stiamo facendo noi – disse Adamkus. – Il miracolo economico per i Polacchi. Speriamo che non se ne approfittino e non aumentino i prezzi, se no ci tocca veramente andare a rubare.
– Comunque, Paulius, c’è da dire che la carne polacca è proprio buona. Ecco l’acqua.
– Sì, Vilma, ma, se la roba non costasse un terzo in meno che da noi, non penso che ogni mese aggancerei il carrello alla macchina e mi farei questa coda – disse lui. Poi guardò i ragazzi e aggiunse: – Abbassassero quella radio…
– Non fare il polemico come al solito. Con questa gita risparmiamo e mangiamo bene fino a tutto Agosto. Signora, quando facciamo gli Shashlik[1] quella carne fa un profumo eccezionale; ha fatto bene a venire con noi.
– Meglio tardi che mai – rispose lei guardando fuori dal finestrino.
Dopo due ore giunsero nelle vicinanze di Suwalki.
Uno spiazzale accanto alla strada, una costruzione di cemento con pannelli di lamiera color turchese, un’insegna con la scritta «Stokrotka»[2] e una carcassa di una Fiat 126 annunciavano che il viaggio era finito. Erano parcheggiate centinaia di auto con targa lituana, alcune con il bagagliaio aperto che i proprietari faticavano a chiudere, lottando contro i sacchetti pieni di provviste.
– Vilma, hai monete per il carrello?
– Sì, vado io. Tu aspettami con lei all’ingresso.
– Dove vuoi che vada?
– Adamkus, ma è sempre così simpatico con sua moglie?
– No, solo quando sono ispirato – rispose con un sorriso che fece apparire il dente d’oro. – Si appoggi al mio braccio, l’aiuto a scendere.
– Grazie. Vedo che almeno il rispetto per gli anziani non le manca.
– Già, aspetto che mia moglie diventi anziana.
La donna rise, poi disse seria: – Non voglio rompere. Andate a farvi la vostra spesa. Io vado al reparto della carne; tanto sono qui per quella. Ci vediamo là. Sono vecchia e lenta: nel tempo che ci metto a raggiungere il reparto voi girate tutto il supermercato.
– Va bene. Ma posso accompagnarla.
– Giovanotto – rispose lei. – Grazie, ma sa, alla mia età si ha voglia di dimostrare a sé e agli altri di farcela ancora.
– Come vuole. Grazie per il “giovanotto” comunque. Erano quarant’anni che non me lo sentivo dire.
– Ma che hai fatto? L’hai lasciata andare da sola? Ma che hai nel cervello? Sai che ha una gamba messa male.
– È andata a prendere la carne; ci aspetta là. La smetti di rimproverarmi ogni quarto d’ora? Prima il finestrino aperto, poi il finestrino chiuso, poi il volume della radio troppo alto, poi il condizionatore rotto, poi il rumore del motore, poi ancora la sigaretta gettata dal finestrino… E il carrello? Dov’è il carrello?
– Non rompere. Carrelli non ce n’è. Se li sono presi tutti. E cerca di calmarti, perché ci sarà da sgomitare e non voglio sentire pure i tuoi borbottii. Entriamo e speriamo almeno di trovare un cestino, altrimenti porterai tutto tu come un mulo.
– Prego, dopo di lei, contessa – disse lui con un inchino.
– Quanta gente…
– Chi era che non voleva sentire i borbottii?
– Smettila. Io vado verso le conserve, tu vai a prendere i detersivi, quelli soliti. Ci vediamo al reparto macelleria. E non dimenticarti di cercare il cestino.
Adamkus si avventurò a passo svelto fra i corridoi del centro commerciale, destreggiandosi con la grazia di un ballerino del Bolshoi fra decine di carrelli, mentre il suo riportino biondo ondeggiava a ogni deviazione. C’erano donne che confrontavano i prezzi del formaggio i cui mariti, spediti a cercare la pasta Italija, prodotta vicino Varsavia, e mozzarelle di vacca polacca O sole mijo, passavano e ripassavano davanti agli scaffali delle birre come bambini davanti al bancone delle caramelle.
Adamkus in pochi minuti trovò il detersivo per la lavatrice, l’ammorbidente e la candeggina; a quel punto, con lo sguardo del giusto, di chi ha fatto il suo dovere, scivolò nel reparto degli alcolici, dove, con grazia, fece scorrere la mano sullo scaffale e fece sua una confezione da sei di birra Zywiec.
D’un tratto da un altoparlante giunse il suono di un campanello e fu lanciato un messaggio che, per quel che lui capiva di polacco, chiedeva che, se fosse presente un medico, andasse al reparto macelleria.
Si voltò di scatto verso quel reparto, facendo ondeggiare il suo riportino e disse fra sé: “Velnias![3] Meglio andare a vedere”.
Giunto lì, vide un gruppo di persone e per terra, dietro le loro gambe, intravide qualcuno disteso.
Un ragazzino venne verso di lui dicendo in lituano: – Presto, portate qualcosa, magari una scatola, per tenerle le gambe sollevate. Qualcuno sa fare la respirazione bocca a bocca?
– Che è successo? – chiese lui.
– Una vecchia si è sentita male ed è svenuta.
Adamkus aggrottò le ciglia e si fece largo fra i curiosi: – Fatemi passare. Vide la moglie di Ragauskas con gli occhi sbarrati e la lingua fuori dalla bocca e gridò: – Signora Aldona!
– La conosce? – gli chiesero.
– Certo. È con me – rispose lui chinandosi verso la donna distesa. Un uomo, anche lui lituano, disse: – Era lì, che sceglieva la carne… un bambino dietro di lei ha fatto scoppiare un palloncino e poi è scappato, lei ha portato la mano al petto e poi è caduta per terra”.
Un altro uomo si fece largo fra i curiosi dicendo in lituano: – Toglietevi, sono un medico.
– Velnias! Faccia qualcosa – disse Adamkus, guardandosi intorno come per cercare quel fottuto bambino.
– Certo, ma fatemi passare, per favore.
“Pronto, Vilma…”.
“Ciao, Paulius. Meno male che mi hai chiamato, non ho credito sul cellulare. Volevo dirti di prendere anche lo zucc…”.
“Vilma, la signora si è sentita male. Vieni al reparto macelleria”.
“Cosa? Dieve mano![4] Arrivo”.
– Poveraccia – disse Vilma stringendosi al braccio del marito e guardando il medico al lavoro.
– Non c’è niente da fare – disse quello voltandosi verso di loro.
– Cosa? Un momento. Mi faccia capire.
– Mi spiace. È una vostra parente?
– Mi sento male… – disse lei impallidendo.
– Vilma…
– L’acqua, Paulius.
– Eccola.
– Si tenga al mio braccio, l’aiuto, si sieda qui per terra.
– Grazie – disse lei pallida. – Ma… mi dica. Cosa le è successo?
– Un infarto; ragionevolmente aveva il cuore in pessimo stato – disse il medico scuotendo la testa. Poi fece un inaspettato sorriso idiota e aggiunse: – D’altra parte, diciamolo, non aveva il fisico di una modella.
I due lo guardarono.
Arrossì, distolse lo sguardo, tossì come per schiarirsi la voce, poi disse: – Credo sia bene chiamare la polizia – e si allontanò.
– Buongiorno, sono il maresciallo Wysocky – disse uno dei due poliziotti, con grossi baffi, un cappello troppo piccolo e il passo marziale. – Come si chiamava la signora? – chiese, dirigendosi deciso verso Vilma.
– Buongiorno agente – rispose Adamkus improvvisando in polacco. – Si chiamava Aldona Ragauskiene -. Poi, indicando l’anziana, aggiunse: – Ma è questa qui, non quella.
– Ah, bene – rispose quello, girando i tacchi di scatto e guardandola. – Lituani, eh? Infarto. Corretto?
– Già. E adesso che facciamo?
– Bisogna avviare con l’ambasciata la procedura di rimpatrio della salma.
– E questo che vuol dire?
– Che ci sarà da fare qualche documento e pagare le spese di trasporto – rispose l’altro annotando qualcosa sul taccuino svogliatamente.
– E di quanto stiamo parlando?
– Beh, più o meno quattromila zloty[5], da pagare prima del trasporto e…
– Cosa? – esclamò Adamkus, agitandosi e facendo ondeggiare il riportino biondo. – Crede che uno, che viene fin qui a comprare la carne, se lo possa permettere?
Finita la frase, notò che l’altro aveva aggrottato le sopracciglia e gli venne in mente la leggendaria suscettibilità dei poliziotti polacchi; allora abbassò la voce, adottò un’espressione dimessa e aggiunse: – Ma non c’è proprio altro modo di risolvere la cosa? In fondo, siamo a poco più di cento chilometri da Kaunas…
– Non so cosa dirle – rispose il poliziotto, rigido sui tacchi guardando fuori, oltre le vetrine, per fargli pagare il tono usato prima – Il regolamento parla chiaro e…
– Avrei il carrello agganciato all’auto… – rilanciò Adamkus. Poi, gli venne in mente l’altrettanto leggendaria corruttibilità della polizia polacca, mise una mano in tasca e accennò a tirare fuori il portafogli.
Il maresciallo apparve subito soddisfatto per il cambio di tono del lituano e per quel gesto: – Mi faccia parlare con il mio superiore. Vediamo cosa si può fare.
Tre ore dopo la Golf era a pochi chilometri da Suwalki, diretta verso la Lituania, con il carrello coperto da un telo di cui il vento sollevava un lembo, lasciando intravedere un grosso sacco di plastica nera.
Vilma disse: – Paulius, fermati in quel bar, ho bisogno di bere qualcosa.
Presero due caffè, poi lei andò in bagno e lui rimase seduto a sfogliare un volantino pubblicitario, mentre la radio trasmetteva la versione in polacco di Com’è bello far l’amore da Trieste in giù.
Dopo un quarto d’ora uscirono.
– Paulius… – disse lei afferrandogli il braccio con una mano e indicandogli l’auto con l’altra.
– Che c’è? – disse lui intento a gettare il volantino nel cesto dei rifiuti.
– Guarda! Il carrello…
Lui si voltò. La Golf non aveva più il carrello.
– Velnias!
Corsero verso la macchina.
– Non ci posso credere, mi sento male – gemette lei.
– Siediti in macchina – disse lui, prese la borsa, ne tirò fuori la bottiglia d’acqua e gliela porse.
Un vecchio, basso e sdentato, stava per salire su una malconcia Mercedes con targa lituana, parcheggiata alla sinistra della Golf, quando Adamkus, rivolgendosi a lui oltre il tetto dell’auto, gli chiese: – Scusi, ha visto qualcuno poco fa vicino alla nostra macchina?
L’uomo lo ignorò e, canticchiando qualcosa, si chiuse in macchina. Adamkus fece il giro attorno all’auto, si avvicinò al finestrino, che quello stava aprendo, e ripeté la frase.
Il vecchio si accorse di lui con la coda dell’occhio e sussultò, poi accostò la mano all’orecchio e chiese: – Come?
Adamkus avvicinò le mani alla bocca e ripeté la frase.
Quello rispose: – La vostra macchina? No, questa è la mia macchina.
Adamkus, paonazzo, ci riprovò urlando con tutta la forza che aveva.
– Ah, la Golf? – rispose infine il vecchio. – Prima c’erano due che armeggiavano sul carrello. Ma cos’è successo? Pensavo che la macchina fosse loro, poi sono entrato al bar…
– E com’erano?
– Come?
Adamkus ripeté il gesto e urlò la frase, mentre due grosse vene gli affiorarono sul collo.
L’altro intanto aprì la portiera urtandogli il ginocchio, scese dall’auto, e rispose: – Biondi, alti, uno magro e uno abbastanza robusto; secondo me non erano polacchi, forse bielorussi.
Vilma gemette: – Mi sento morire. Cerca quei bastardi. E ora che diciamo a Ragauskas? Quello ha avuto già due infarti. Dieve mano.
Adamkus, ancora paonazzo, corse dentro il bar e lì chiese che fosse chiamata la polizia.
Un quarto d’ora dopo, dall’auto della polizia uscì il maresciallo Wysocky con il suo passo marziale: – Buonasera, ancora voi?
– Salve, è una fortuna che sia di nuovo lei, non può immaginare quello che è successo. Si ricorda il carrello?
– Certo, non si parla d’altro coi colleghi – disse ridendo sotto i baffi e strizzando l’occhio al collega.
Adamkus si avvicinò al vecchio, che stava osservando il gancio di traino della Golf, avvicinò le mani alla bocca e gli urlò: – Le presento il maresciallo Wysocky, le farà alcune domande.
– Come? – rispose quello voltandosi.
Dopo averlo faticosamente interrogato, Wysocky, consapevole delle proprie responsabilità nell’accaduto, propose agli Adamkus di tornare a casa e promise che avrebbe condotto personalmente le indagini.
Gli Adamkus si diressero verso Kaunas e vi giunsero intorno alle otto di sera; andarono direttamente da Ragauskas, che viveva al quarto piano di un palazzone con finestre dagli infissi bianchi di plastica e piccoli balconi dall’intonaco rosa, incorniciati da riquadri di cemento grezzo. Fra le poche varianti concesse dall’edilizia della passata dominazione sovietica i portoncini d’ingresso degli appartamenti, alcuni in semplice legno d’abete, altri rivestiti con similpelle nera, fissata con bottoni di ottone, che faceva tanto Famiglia Addams.
Così era quello di cui suonarono il campanello, dopo essersi guardati negli occhi per qualche istante.
La porta si aprì e apparve Ragauskas, con il suo viso rotondo, il colorito paonazzo, gli occhi sorridenti e le mani gonfie, che li accolse affabile con la lentezza dei gesti dovuta alla sua corporatura: – Labas vakaras.[6]
– Labas vakaras – risposero con un nodo alla gola.
Non vedendo sua moglie, sospirò e disse: – E Aldona sta ancora salendo le scale, immagino. Purtroppo per quella gamba non c’è niente da fare.
Quella sera di Luglio del 2008, alle 11.20 , Paulius Adamkus e la moglie Vilma guardavano seduti il pavimento del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Kaunas.
Era passata più di un’ora dall’arrivo dell’ambulanza e avevano già maledetto quel viaggio, il centro commerciale e la carne polacca.
Sentirono una porta aprirsi alla loro destra e si voltarono. Apparve il medico con gli occhiali a fondo di bottiglia. Si alzarono. Lui tirò fuori dal camice una bottiglietta di brandy, ne esaminò l’etichetta tenendola vicino alle lenti, tolse il tappo e bevve un sorso.
I due lo guardarono e si guardarono.
Poi disse: – Ce la farà -. Dopo pochi istanti si sentì il suono di una sirena, che annunciava un’ambulanza in arrivo. Il medico borbottò qualcosa, li salutò frettolosamente e si allontanò.
Il cellulare di Adamkus inizio a suonare.
“Klausau[7]”.
“Adamkus?”.
“Sì?”.
“Sono il maresciallo Wysocky, abbiamo trovato il carrello vicino a una casa abbandonata a pochi chilometri dal bar. C’è anche il sacco. Venga subito a prenderselo, la aspetto”.
“Grazie, arrivo”, rispose lui, schiacciò il tasto rosso, guardò la moglie, prese la borsa dalle sue mani tirò fuori la bottiglietta d’acqua e gliela porse.
Lei bevve e gliela ridiede vuota.
Lui guardò la bottiglietta, sorrise e disse: – È finita.
[1] Lunghi spiedini di carne marinata e grigliata, tipici della cucina russa.
[2] Traduzione dal polacco: margherita.
[3] Traduzione dal lituano: “Diavolo!”.
[4] Traduzione dal lituano: “Dio mio”.
[5] Valuta polacca, pari a venticinque centesimi di euro.
[6] Traduzione: “Buona sera”.
[7] Traduzione: “Pronto”.
Gianni Contarino
Nato a Siracusa nel ‘72, vivo a Torino dal ’90. Da circa lavoro nel settore automotive, e mi occupo attualmente di marketing e comunicazione.
Scrivo da diversi anni. Miei racconti sono stati pubblicati dalle riviste “Oasis”, “Terre di mezzo”, “Green News” e nelle antologie “365 Storie d’amore” (Delos Books, 2013) e “Pendolibro” (Libreriamo Publishing, 2013).
Il racconto “La carne” si ispira a una storia vera, realmente avvenuta fra la Polonia e la Lituania, e ho deciso di scriverlo per dare un esempio di quello che il destino può combinare su una strada.