- 19 Aprile 2018
- Posted by: PIARC Italia
- Categoria: Notizie
All’Autobrennero: inconsapevole teatro di una fuga
SINOSSI
Due secoli in tre, narra le vicende di tre anziane donne: Marisa, Glory e Jole, praticamente coetanee e quasi settantenni. Da qui il titolo.
Le tre amiche, che vivono in provincia di Torino, a Moncalieri, intraprendono un viaggio autostradale in pullman con un gruppo di familiari e compaesani alla volta di Roma, per andare (si pensa) a far visita al Papa.
In realtà le loro intenzioni sono diverse: vogliono scappare dal gruppo e, con un escamotage, raggiungere Venezia (città d’origine, tra l’altro di una delle tre) per dare sfogo, anche solo per un giorno, ad una loro grande passione.
Il racconto parte dalla fine della vicenda; da una stazione di polizia, dall’interrogatorio che viene fatto alle tre donne in una notte d’estate e da un commissario che tenta di venire a capo di tutto l’accaduto: una messinscena, un audace fuga (facendo l’autostop per deviare sull’Autobrennero) un autista di tir napoletano diretto in Austria che le raccoglie, e un inaspettato capitolare degli eventi.
Gli interrogatori sono tre, uno per testimone, e segnano il susseguirsi dei capitoli.
La nebulosa vicenda, si dipana mano mano, attraverso il botta e risposta con l’inquirente, ma non si svela se non a interrogatorio finito, attraverso lo stralcio di un articolo di giornale locale che uscirà il giorno dopo e che chiude il racconto con la spiegazione dei fatti.
Il racconto, vivace e dinamico, segue un registro fatto di soli dialoghi e nasce dall’idea di far riflettere divertendo. È un omaggio alla ricchezza del nostro territorio, alle differenti culture, ai suoi dialetti, al cinema, alle classi più deboli e, soprattutto, alle donne.
PROLOGO
“Generalità?”
“Come?”
“Generalità: nome, cognome, luogo e data di nascita.”
“Ah, sì! Marisazanettinataaveneziailquindicimaggiodelmillenovecentoquarantaseieresidentea…”
“Oh, oh, oh! Se va così in fretta, non capiamo niente e soprattutto, l’agente che deve scrivere, non riesce a starle dietro. Con calma, la prego, ripeta.”
“La me scusi comandante, è che è la seconda volta che mi chiedono come mi chiamo oggi.”
“La seconda? Chi altro gliel’ha chiesto?”
“Un signor giornalista di là, siòr comandante.”
“Non sono comandante sono commissario…forza, su, ripeta.”
“Sì, siòr comisario. Alora: Marisa…Zanetti… nata a Venezia… il quindici maggio del mille novecento… quarantasei… residente a Moncalieri … provincia di Torino… frazione di Castelvecchio …strada per Castelvecchio… numero cento…quattro.”
“Oh, benissimo! Allora signora Zanetti, lei è la prima a fornire la sua versione dei fatti. Stia tranquilla, si calmi e cerchi di ricordare tutto dall’inizio. Ha bisogno di qualcosa? Un caffè? No, forse il caffè è meglio di no a quest’ora, un bicchier d’acqua? Ha mangiato?”
“Sì, gràsie sior comandante, ci hanno dato un panino; però mi è rimasto un po’ sul stòmego, forse un gòto d’àcua va ben.”
“Commissario, signora, commissario. Ferrandi, porta un bicchiere d’acqua alla signora Zanetti, che così cominciamo. Forza!”
“Sì…sens’altro. Ma devo raccontare tutto dall’inissio, o solo quando che siete arrivati voi?
“Dall’inizio signora Marisa! Quando siamo arrivati noi, sappiamo già cosa è successo, purtroppo. Tutto dall’inizio.”
“El gà raxòn. Allora, signor comissario, noi eravamo in gita con il gruppo della parrocchia. Siamo partite stamattina presto, cioè, a ‘sto punto ieri mattina presto, perché ci avevan deto che per Roma ci volevano oto ore, minimo, perché ci dovevamo fermare a mangiare all’autogrill e poi, almeno un’altra ora per andare all’albergo, e metterci a posto per la cena. Dovevamo andare nell’ostello delle Suore Orsoline, che costa poco lo sa? Conviene, che noi siamo solo dei poveri pensionati, comissario, e come si dice dalle mie parti: “I schèi vien de passo e i va al galopo”. Ga capìo?
“Sì certo che ho capito. C’erano anche le sue due compagne, giusto?
“Sì, certo eravamo tutte insieme. Noi e i nostri mariti. Cioè, due mariti, perché la Jole è vedova. Da due anni è vedova perché il Carlo, suo marito, è morto in ospedale per il diabete. Ma nella coriera eravamo in trentanove.
“Perfetto. A che ora siete partite?
“Alle quattro e un quarto.
“Va bene, vada avanti.
“Ma lei pensa che ci succede qualcosa di grave, signor comisario?
“Per ora, se non sappiamo come sono andate realmente le cose, non posso dirle niente. Certo che la situazione non è da ridere; comunque, qualche santo in paradiso lo dovete avere, perché poteva succedere molto di peggio. Ad ogni modo, ora è necessario chiarirci le idee. Lei parli pure e io la interromperò solo se non capisco qualcosa. Va bene?
“Bene, sì, va ben. Alora, come le dicevo siamo partiti alle quattro e un quarto da Moncalieri. Era ancora buio e dopo un quarto d’ora abbiam preso l’autostrada.
Marisa
“L’autostrada a quell’ora no gh’era nessuno. C’era quasi l’alba, si cominciava a vedere fuori.
Sa quel momento che sembra che anche gli alberi, le case, i campi, dormono ancora e piano piano si svegliano e è come se si stirano? Solo che non si fanno vedere da noialtri. Perché è un mondo segreto quello delle cose e degli animali! E c’han tutti voglia di cominciare (mica come noi che c’abbiam sempre qualche pensiero o qualche dolore che si sveglia assieme) e parlano tra di loro e si dicono che tra poco arriva il sole e è come una festa. A mi me vien in mente sempre ‘sta cosa quando al mattino apro la finestra e gli uxelìn che facevano un casino smeton d’ un colpo. Come se non si volessero fare scoprire da noi, di quello che dicono. Peccato che vedo sempre le stesse cose (che davanti io c’ho la casa di mio cognato e la campagna) e invece quando che sono in giro, in macchina o in treno, mi piace perché vedo un sacco di cose nuove che passano via e faccio appena a tempo a vederle, che già …”
“No, no, signora Zanetti, così non andiamo bene. La prego di non dilungarsi su cose che non c’entrano con gli episodi di oggi. Si attenga per cortesia solo alle questioni importanti, altrimenti non ce la caviamo più; anche perché desidererei farmi qualche ora di sonno, se non chiedo troppo.”
“Mi scusi, sior comisario, c’ha ragione che è tardi. È che io sa, sono ignorante; ho fatto solo la tersa elementare, poi più. Mica come le mie amiche, la Jole che ha fato le medie e la Glory anca un anno de superiori e parlan ben. Dunque, eravamo sedute in fondo noi tre. Lei capisce comisario, dovevamo ancora metterci d’accordo… Sì, perché prima di partire avevamo solo deciso che in qualche modo si faceva. E c’eravamo anche studiate la cartina, perché dovevamo vedere dove che dovevamo scendere, perché altrimenti la alungavamo tropo; e poi dove che si girava verso la bassa, che se no poi, non potevamo più tornare su a Venesia e fare in tempo. Però tutto il resto non lo sapevamo mica come farlo. E quando gli altri dormivano, anche il Franco e il Lino che stavano seduti davanti tre file, perché a noi ci dicevano che ci vedevamo già tutti i giorni e ridevano e non sapevan gnànca, poar mòna, cosa che avevamo in mente di fare (che se la Madona, gli angeli e i santi c’avessero dato un scapelotto era meglio, beata sempre vergine Maria chiedo perdon!), siccome che l’autista ci aveva deto che passavam da Bologna, abbiamo visto che prima c’era Modena e che da Modena c’era la strada del Brennero, che da lì si andava a Verona e da Verona poi si andava a Venesia. La mia Venesia, signor comissario! Così abbiamo pensato di andare a dire all’autista di fermarsi a Modena a far colassione, con la scusa che dovevamo prendere le medicine subito dopo. E la Glory e la Jole mi han detto che dovevo andare io a dirglielo che ero più fàcia de tola. Sa cossa che vuol dir, sior comisario?”
“Sì, sì, lo so cosa vuol dire. Però signora Zanetti, si deve sforzare di essere un po’ meno…un po’ più… insomma, di dire le cose giuste.”
“Ma sono le cose giuste, sior comisario!”
“Sì, lo so, ma…va be’ lasci stare. Quindi lei conferma quello che avevate detto da subito: che eravate intenzionate ad andare fino a Venezia.”
“Sì, ma non nel modo che ci avete viste voi!”
“Vorrei ben vedere…va be’… vada avanti che è meglio.”
“Subito dietro l’autista c’era il don Aldo che sembrava che dormisse, ma quando son pasata mi ha detto: Marisa, che succede?, e io c’ho risposto: niente, don, niente, devo chiedere una cosa all’autista, tuto ben. L’autista si chiama Giovanni; è una brava persona sa, padre di quattro bambini.… no, la me scusi, el ga raxòn…vado avanti. Come le stavo dicendo sono andata a parlare col Giovanni. Lui mi fa: Marisa, cosa c’è? e io c’ho chiesto dov’eravamo e lui mi ha detto che avevamo passato Reggio dell’Emilia. Allora io c’ho detto: guarda che devi fermarti alla prossima perché dobbiamo prendere le pastiglie e sensa mangiare non si può.”
“Benedetta signora Zanetti! Allora, vediamo se riusciamo a velocizzare un po’ la cosa. Risponda alle mie domande. Siete scesi tutti all’autogrill di Modena?”
“Signorsì!”
“Anche l’autista?”
“No, l’autista no. Ci ha detto che ci aspettava lì e che potevamo fermarci una mezoreta.”
“E voi che cosa avete fatto?”
“Siamo scese anche noi.”
“E poi?”
“Poi siamo andati tutti dentro a bere il cafelatte, perché non volevamo dar dei sospetti a nesuno; e poi siamo andate in bagno perché dovevamo iniziare lì a fare tutta la scena.”
“La scena?”
“Siorsì, signor comisario. Perché avevamo pensato che una di noi doveva far finta di farsi male, e di rompersi un piede, una gamba non lo so.”
“Ma perché, di grazia?”
“Eh, perché, perché. Perché siamo delle rimbambite sior comisario e dovevam scapare.”
“Per andare dove?”
“Ma come dove? A Venesia signor comandante.”
“Ma a fare cosa a Venezia?”
“A fare…è un po’ lunga la storia. Se aspeta…poi c’arrivo.”
“D’accordo, allora continui.”
“Niente, signor comisario, la Glory ha deciso che la finta la faceva lei che quando era giovane aveva fatto le recite con il teatro della parrocchia e era brava. Avevamo pensato di farlo nel bagno, ma poi pensavamo che non ci vedeva nessuno e allora siamo uscite fuori perché doveva esserci qualcuno che da lontano ci vedeva. E che doveva essere proprio un bel scivolone da ciamàr subito i socoritori. Però magari con l’erba così la Glory non si faceva male davvero. E siamo andate nello spiasso dove che ci son le panche. E fuori…”
GLORY
“…fuori erano usciti a fumare due o tre del gruppo, i più giovani. Avevamo anche notato che l’autista dal parcheggio poteva vederci. Così, abbiamo deciso di cominciare, ma per rendere la cosa più credibile, ho chiesto a Jole di farmi davvero uno sgambetto; l’erba avrebbe attutito il colpo.”
“Quindi, se ho capito bene, avete inscenato un infortunio, per avere la scusa di abbandonare il vostro gruppo?”
“Esatto.”
“E lei si è fatta male davvero, signora Benedetti?”
“No, certo che no. Per quanto uno voglia farsi del male c’è sempre l’istinto di difesa; ma avevamo pensato a tutto e c’eravamo portate dietro un ombretto blu e il rossetto per far finta che si formasse il livido”
“Pure! Ferrandi, che dice, rossetto e ombretto possono considerarsi aggravanti per la premeditazione?”
“Come?”
“No, niente, niente, era una cosa tra me e l’agente Ferrandi. Piuttosto, la signora Zanetti mi diceva qualcosa a proposito dei soccorsi. Mi può spiegare meglio?”
“In realtà abbiamo finto di chiamare l’ambulanza; Jole si è mossa prima che lo facesse qualcun altro. Non è stato difficile. Dopo un’ora che non arrivava nessuno, li abbiamo convinti ad andarsene senza di noi. Noi avremmo aspettato tutt’e tre insieme, avremmo fatto controllare la gamba e se ce ne fosse stato bisogno, avremmo acconsentito al ricovero per un’eventuale fasciatura o ingessatura. Io piangevo, sa, mi disperavo. So recitare bene io. Da giovane…”
“Sì, questo passaggio mi è stato spiegato dalla sua amica. Ora vada avanti.”
“Il pullman doveva riprendere la sua marcia. L’arrivo a Roma, dalle suore, era atteso prima dell’ora di cena. Gli abbiamo detto che li avremmo raggiunti eventualmente in treno il giorno dopo e così si sono convinti. Pensavano che anche noi ci tenessimo a far visita al Papa e invece non immaginavano che visita volevamo fare noi…maledette noi!”
“Già. Mi è stato riferito qual era in realtà l’oggetto del desiderio. Prosegua.”
“Gliel’ha detto la signora Zanetti?”
“Sì, me l’ha detto.”
“Ma le ha detto perché in particolare?”
“Gliel’ho chiesto io, per capire cosa potesse spingere tre signore…di una certa età…a fare quello che avete fatto…per un… per una passione come la vostra. Lei conferma?”
“Sì, confermo. Anche se un po’ mi vergogno.”
“Beh, ormai la cosa è fatta. Comunque, lasciamo perdere, vada avanti e mi spieghi come avete incontrato l’autista del tir, perché la sua amica non è stata molto chiara a riguardo ed è un punto di fondamentale importanza .”
“Certo commissario. Appena se ne sono andati, ci siamo messe all’opera per chiedere un passaggio. Eravamo a Modena, dovevamo salire verso Verona perlomeno; sperare di trovarne uno fino a Venezia sarebbe stato troppo bello.
Questa era la cosa che ci faceva più paura, perché, si immagini, signor commissario, noi era la prima volta che facevamo l’autostop. Mai e poi mai nella nostra vita l’avevamo fatto. E con quello che si sente in giro, lei può capire. Ma ci vedeva lei a metterci sul ciglio dell’autostrada col pollice in aria alla nostra età? Due secoli in tre, tondi tondi, signor commissario. E anche se avessimo tirato fuori le gambette, non si fermava nessuno…anzi.”
“Sì, infatti…posso immaginare…cioè…capisco… Che sono quelle facce, Ferrandi? Scrivi!”
“Così abbiamo deciso di tornare al bar dell’autogrill, sulla porta, e chiedere a quelli che uscivano se c’era qualcuno che andava verso Venezia. Avevamo in mente d’inventare una scusa. Del tipo che era successo un disguido e dovevamo raggiungere il pullman della nostra gita, fino a Venezia perché erano ripartiti per sbaglio senza di noi; ma siamo state lì delle ore, a chiedere a destra e a manca, che un po’ alla volta c’era passata anche la timidezza, e ne inventavamo ogni volta una diversa. Niente, signor commissario. Ci guardavano tutti con un’aria un po’ stralunata, oppure ridevano e se ne andavano, dicendo mi dispiace di qui, mi dispiace di là. Avevamo perso ogni speranza. Poi, alla fine, erano quasi le otto di sera, abbiamo visto che arrivava un tir con la A dietro.”
“Ooh! E finalmente arriviamo al tir austriaco!”
“Sì, signor commissario. Abbiam pensato: se quello deve andare in Austria, magari, sale verso il Brennero. E così, l’abbiamo tenuto d’occhio e non appena l’autista è sceso e abbiam visto che veniva verso il bar, ci siamo guardate e Marisa si è fatta avanti. Ma signor commissario, noi non volevamo fare quello che abbiamo fatto. Glielo giuro! Non avremmo mai immaginato che potesse andare così. Ci deve credere signor commissario?”
“Si calmi, signora Benedetti, non pianga. Tra poco verremo a capo di tutta la faccenda. Ferrandi porti un fazzoletto alla signora e un bicchier d’acqua anche a lei.”
“Sì, signor commissario, mi scusi.”
“Prosegua allora.”
“Il camionista, si chiamava Augusto. Si chiama Augusto, a proposito come sta?”
“Pare stia meglio è ricoverato al Policlinico. Hanno sciolto la prognosi.”
“E la ragazza?”
“In giornata la operano, ma pare che stia bene anche lei.”
“Meno male! Si vede che il signore non ci ha voluto punire fino in fondo.”
“Forza signora Benedetti.”
“Sì, ha ragione, mi scusi ancora. Come le dicevo, anche se il tir era austriaco l’autista non lo era, era italiano, anzi, di Napoli. Ci ha detto che ci avrebbe portato fino a Verona e da lì noi avremmo potuto prendere un altro passaggio.
È stato così gentile. Ci ha fatto sedere tutt’e tre davanti. Una pazienza! Ci voleva la gru per tirarci su tutt’e tre! E ha cominciato a parlare, parlare, parlare, che non la finiva più. Poverino, si vede che non parlava mai con nessuno. Perché ora non c’è tempo, ma mi sarebbe piaciuto che lei avesse sentito come parlava prima di tutto l’ambaradan…anche solo cinque minuti.”
A: E così, voi siete di Torino?
J: No no, veramente noi siamo di Moncalieri, vicino a Torino.
A: E andate a Venezia.
M: A Venesia, la città più bella del mondo.
G: Dice così perché lei è nata a Venezia.
A: E quindi stavate andando in gita, o a trovare qualcuno?
G: Come a trovare qualcuno?
J: In che senso?
M: No, no, proprio nessuno!
A: Calme, calme, era così tanto per dire. Visto che la signora era di Venezia pensavo andaste a far visita a qualcuno.
J: Ah…in quel senso…certo! Ma no, che dice! Mica andavamo con due pullman se dovevamo andare a trovare dei parenti della Marisa. Vero Marisa?
M: Ahia, ti me ghè fà mal! Certo…anche perché io a Venesia, ormai, non c’ho più nessuno!
A: Due pullman, ah però! È per questo che vi hanno lasciate a piedi allora, giusto?
J: E già, quelli del nostro pensavano fossimo sull’altro…hanno fatto un macello.
A: Beh, Venezia è veramente molto bella. Ma se vogliamo essere proprio onesti, è Napoli, la città più bella del mondo.
M: Dipende….bisogna vedere da che parte la si guarda.
A: In che senso?
J: Ma no, diceva così per dire! A me, per esempio, piace molto Roma. Io ci sono andata che avevo sette anni, con i miei. “Vacanze romane” se lo ricorda? Ecco, era proprio l’estate del ’53, con le lambrette e le seicento che giravano per la città, l’anno in cui hanno girato il film; solo che io non lo sapevo e a quell’età mica potevo pensare a Gregory Peck, purtroppo! E dire che avrei potuto anche incontrarlo!
M: Ah, il Gregory Peck, quelo xéra un altro bon!
J: Sta buona Marisa…eh, eh… mi ricordo che ho anche preso un sassolino del Colosseo, un pezzettino di muro, per portarlo a casa e conservarlo. Mio padre invece di sgridarmi mi aveva detto che avevo fatto bene e che da grande avrei fatto l’archeologa. Sì, altro che archeologa … ho fatto l’operaia alla catena della Fiat per trent’anni, si immagini!
A: La Fiat eh? Pure i miei parenti hanno lavorato alla Fiat per tanti anni. Io no. Io non sono mai voluto stare al chiuso. Per me sarebbe stata la morte. Io ho bisogno di stare fuori, all’aria aperta, di vedere il mondo che corre e che è sempre diverso. Eh… che devo fare? Io mi annoio a vedere sempre le stesse cose. Mi chiedo: ma come si fa, tutta la vita a stare sempre nello stesso posto, tutta la vita, anche ad abitare, eh? Mica siamo alberi noi! Con tutto il rispetto per gli alberi, per carità. Da qui, se ne vedono tanti di alberi e certi sono uno spettacolo, vi assicuro. Ma nel senso che a stare fermi, pure ‘a capa resta ferma. Soprattutto per quelli come noi che, con rispetto parlando, non hanno studiato. Dico male?
J: No, no. dice bene.
A: Noi non abbiamo avuto la possibilità di immaginarci tutte ‘e ccose ca ce stanno dint’ e libbre; a viaggiare con la fantasia anche stando fermi.
‘Nu professore e storia, faccio un esempio no, anche se sta fermo, a furia di leggere e immaginare tutte le battaglie, le storie dei principi, dei re… sai quant’ film se vede ‘n capa!
E ‘nu scienziato. Mamma mia! A lloro, basta guardà ‘int a nu microscopio pe’ fa’ u giro do o munno. Dico male? Ma a noi no, a noi poveri cristi non c’è permesso. Se non hai i soldi come fai a girare il mondo!
M: “Articolo quinto: chi che ga i schèi ga sempre vinto”.
A: Infatti. E così io ho deciso che lo potevo girare lavorando. Guardate che è anche una fatica, signore mie, eh! Però, che vi devo dire, io m’arrecreo quando salg’ ‘ncoppa a ‘stu camiòn.
M: Cossa el ga dito?
A: M’arrecreo, mi ricreo…godo…divento una persona nuova. Noi napoletani diciamo così.
M: Ah, no gavèo capìo.
A: Che vi devo dire. La solitudine. La strada che corre. La macchina che romba, che è come se fosse la parte forte di te, quella che in tutta una vita non riesci mai ad avere. Giri una chiave ed è come se gridassi al tuo esercito: compagnia, avanti, marsch! Eh, eh, eh, a me me piace ‘sta cosa. Mi sento un generale. Poi, le truppe sono tutte lì ai tuoi ordini e ti proteggono e ti fanno sentire importante. Tu devi solo mantenere il controllo, essere vigile, attento, e tutto il resto va avanti da solo. E quando si parte per la “campagna d’Austria”, le “milizie” sanno che devono soffrire e ci devono stare nu sacco ‘e tiemp’ a ccammenà, ma marciano lo stesso e tu vai. Ogni tanto dai un comando, e se stai tranquillo e sereno, giri il tuo volante come si stesse abballann’ nu valzèr. E che bbelli cose puoi vedé! Voi avete mai passato il Brennero?
G: Ma cosa vuole che abbiamo passato… solo gli anni sono passati a noi!
J: Sì, ma adesso ci rifacciamo.
A: Come?
M: No, no, niente. Era un purlparlé.
A: Quando si arriva anche solo al confine tra il Veneto e il Trentino, ci si accorge della differenza. La differenza d’aria. Fate la prova la prossima volta. Se scendete a bervi ‘nu cafè all’autogrill, facitece caso. Siete sull’autostrada, eppure è come se foste già int’ a ‘nu bosco. Pulita l’aria. Pulita. Poi comincia uno spettacolo di “verdità”. Il Trentino è tutto uno spettacolo, a parte le montagne che sono bellissime, a me me piace proprio ‘u vverde. Intendiamoci, al primo posto per me, ce sta sempe ‘o mare! Ma ‘o mare senz’ ‘o verde, no. Sapete quelle isole tutte pietre e sassi? Quelle non mi piacciono. Sì, per carità, il mare sarà anche bello, ma che volete, coi fiori e gli alberi, è tutta nata cosa. Voi la conoscete la costiera amalfitana?
G: No, non ci sono mai stata.
J: Neanch’io.
M: Idem.
A: Eh, questo non me lo dovevate dire! Voi allora vi siete perse la cosa più bella del mondo!
M: E daga! È tutto più bello il suo…ahia! Ti ga intensiòn de mandarme a l’ospedàl con queste gomitate?
A: Come?
J: No, niente la mia amica diceva: e dai che bello che deve essere!
A: Voi lo fate mai il presepio a Natale?
M: Caspiterina se lo facciamo! Sul bufé della sala lungo, lungo, lungo.
A: No, no. Io intendo il presepe vero.
M: Ecco!
G: Perché il nostro è finto? Ma cosa c’entra adesso il presepe?
A: No, è perché parlavamo della costiera amalfitana. È per farvi capire com’è. È come un presepe ‘ncoppa ‘o mare; tante casarelle piccerelle, una ‘ncoppa a n’ata. E sotto, ‘o mare…………
Insomma signor commissario, ha parlato per un’ora di fila senza mai fermarsi. Simpatico eh, ma dopo un po’ stufava. Poi, a un certo punto, patatrac…”
JOLE
“…si è sentito male. E lì sono cominciate tutte le nostre disgrazie.
Certo, lei dirà: e non solo le vostre! Ne siamo coscienti, tenendo conto che poteva accadere l’irrimediabile. Eppure, se adesso provo a riflettere su quanto accaduto, non riesco del tutto a sentirmi in colpa. Non mi fraintenda commissario, provo a spiegarle perché.
Vede, io Glory e Marisa ci conosciamo da quando eravamo piccole. Con Glory si andava a scuola insieme. Marisa ha un anno in meno di noi ed è arrivata a Moncalieri qualche anno dopo la guerra. Abbiamo passato l’infanzia e l’adolescenza sempre insieme. Ci chiamavano le sorelle bandiera perché non ci staccavamo mai, nemmeno quando camminavamo per strada sottobraccio. Sempre unite, persino quando abbiamo avuto i primi morosi. E sa cosa ci piaceva fare di più quando eravamo ragazze? Gli altri andavano a ballare, e noi andavamo al cinema; anche due o tre volte a settimana a vedere i film, sia americani che italiani.
E quando è arrivata la televisione ci vedevamo a casa mia gli sceneggiati, quelli che davano negli anni sessanta. Perché prima alla televisione ne facevano vedere di cose belle, non come adesso: grande fratello, isola dei famosi, amici di Maria, telenovela…puah! Caramelle senza senso. Il dottore che si sposa con l’infermiera, l’infermiera che si mette con il figlio, il figlio che scappa con l’amica, quello che muore e poi resuscita. Ma si potrà signor commissario? Ma per chi ci hanno presi tutti, per dei deficienti? Ma si ricorda Gino Cervi in Maigret? Paolo Stoppa e Rina Morelli? Giannini, Volonté… l’Odissea…E le stelle stanno a guardare… i fratelli Karamazov? Abbiamo visto il mondo attraverso i film, conosciuto opere letterarie che non avremmo mai letto; siamo cresciute, abbiamo imparato tante cose che non potevamo più studiare a scuola.
Poi c’era la passione per gli attori belli. E chi non è mai diventato matto per un divo o una diva del cinema, commissario! Dica la verità! Quella degli attori, di far le stupide per loro, è sempre stata la parte più allegra, quella che ci tirava su. Un po’ per scena, un po’ per davvero. In fondo in fondo lo sapevamo tutte e tre; perché di tirarci su, ne avevamo bisogno.
Ci siam prodigate sempre per tutti, abbiam fatto sacrifici su sacrifici. Soddisfazioni però da mariti e figli: zero. Adesso abbiamo tutt’e tre dei nipotini, tante belle gioie, per carità, guai se gli succedesse qualcosa; a loro, ai nostri figli, alle nuore, generi, tutti. Ma col tempo, vede, è come se noi per gli altri non esistessimo più. Come donne, come persone intendo. Siamo vecchie, e basta. Tutto quello che siamo ora, quello che eravamo da giovani, le nostre idee, i nostri sogni. Stop! Finito tutto, cancellato. Quante volte negli sguardi dei nostri figli abbiamo letto, il compatimento, la derisione a volte. Senza che si accorgessero di far sorridere loro, in certi casi, con la loro arroganza, la loro sicurezza. Sì, perché bene o male ci siam passati tutti da lì: da quel senso di invincibilità, di forza che hai quando sei giovane e ti sembra che tutto sia nato insieme a te. Che il futuro sarà migliore perché ci sei tu che hai capito tutto e sai come si deve fare, e i tuoi sono solo vecchi, che di sicuro non hanno mai avuto, neanche da giovani, la marcia in più che tu senti di avere. Sapessero…le bastonate che arriveranno…come faranno male!
E i mariti? Dopo un po’ di anni smettono di sapere se esisti, di guardarti in un certo modo, diciamo. Ma non solo dal lato fisico, anche di parlarti smettono. E noi ci ingobbiamo, ci ingrassiamo, ci afflosciamo dopo anni di sfacchinate. Le rughe che ci incattiviscono gli sguardi. Le mani ruvide come campi aridi, che san di aglio e cipolla, e a noi, anche di olio di motori. Fatiche fisiche e morali, commissario. Perché noi donne ne passiamo tante di prove dure, anche se pare che nessuno lo voglia notare. Sì, perché sembra che facciate tutto voi. E lavoro, e guerre e fatiche. Ma le guerre di ogni giorno quelle, non le racconta nessuno. Non si leggono certo sui libri le nostre guerre! In fabbrica, nelle case, dappertutto.
Io e le mie amiche, per esempio: mai una vacanza, né io né loro. Avremmo dovuto ammalarci di qualcosa di brutto a quest’ora. E invece abbiamo resistito. Una volta avevamo pensato di andare almeno a Torino a vedere il Museo del Cinema, ma i nostri mariti ci hanno prese giro e si sono anche arrabbiati. A noi ci volevano tutte a casa; magari a cucinare per quindici persone la domenica, intanto che loro andavano alle bocce o a messa. Abbiam beccato i più bigotti picchiapetti che c’erano in giro noi tre! Io poi, a messa non ci sono andata più da quando avevo quindici anni e non mi è mai mancata per niente. Acqua santa e pani benedetti non fanno per me… io sono un po’ più sul rosso… se così si può dire commissario. Per fortuna c’era la nostra amicizia. Perché io, signor commissario nell’amicizia ci credo. L’amicizia è come un fuoco acceso nel camino, che ti scalda, ti dà allegria, t’incanta, ti da forza e fiducia e non ti fa sentire mai solo. Anche il Che Guevara lo diceva: “Ognuno di noi, da solo, non vale nulla”. Eh, eh… lo so che a voi forse non piace quello che diceva il Che Guevara! Ma per me è una grande verità. Noi da sole eravamo perse, ma insieme…insieme avremmo potuto fare tutto.
“Un momento, signora Damasso, mi dicono che è arrivato il giudice istruttore. Siete pronte a rilasciare la deposizione scritta?”
“Sì…come vuole.”
“Per ora può andare. Si accomodi di là con le sue amiche e tra poco vi facciamo chiamare.”
“Posso andare?”
“Sì, prego, si accomodi.”
“Grazie, signor commissario. Chiedo scusa ancora.”
L’Arena –Giornale di Verona 05 settembre 2012
Maxi-tamponamento a catena: diciannove feriti.
Traffico in tilt, chiusa per quattro ore la corsia nord dell’Autobrennero
NOGAROLE ROCCA.
Un colossale tamponamento a catena sull’autostrada del Brennero, si è verificato ieri sera verso le 21 tra Nogarole Rocca e Verona Nord. Oltre venti i veicoli coinvolti nell’incidente stradale. Diciannove i feriti, nessuno però in modo grave, a parte una giovane ragazza, Mara Pichler di Bressanone, che avrà bisogno di un intervento chirurgico per una brutta frattura alla gamba. Secondo le prime informazioni, il tamponamento è iniziato con la collisione tra un grosso tir austriaco, che ha perso il controllo e si è messo di traverso occupando le due corsie, e le autovetture che sopraggiungevano. Solo un miracolo ha evitato il peggio. Poco dopo, anche nella corsia opposta, forse per curiosi, s’è verificata un’altra serie di collisioni e in pochi minuti si è formata una lunga coda in entrambi i sensi di marcia. La polizia stradale ha dovuto chiudere al traffico l’autostrada per rimuovere tutti i veicoli. Veniva così organizzata la macchina dei soccorsi con numerose ambulanze, auto-mediche e perfino di un elicottero del 118 di Verona che ha trasferito al Policlinico la giovane ragazza, mentre il proprietario del camion, Augusto Santoro di Napoli e gli altri feriti sono stati trasportati negli altri ospedali vicini. Il traffico è stato riaperto poco dopo la mezzanotte.
Incredulità e sconcerto da parte di tutti quando si è appreso che alla guida dell’autotreno c’era un’anziana donna: Jole Damasso, di sessantasette anni, che viaggiava insieme ad altre due coetanee sul camion di proprietà del sig. Santoro, il quale aveva offerto loro un passaggio poco prima. A causa di un malore, il conducente si era dovuto fermare sulla corsia d’emergenza, perdendo subito dopo conoscenza. Probabilmente prese dal panico e sopravvalutando le proprie capacità, le tre anziane donne decidevano di porsi alla guida del pesante mezzo, determinate a raggiungere a qualsiasi costo l’A4 e poter proseguire in questo modo per Venezia, riuscendo a compiere poche centinaia di metri di strada prima di sbandare e perdere il controllo, terminando la corsa contro il guard rail.
La spiegazione data agli inquirenti sul motivo di questo gesto, risulta ancora più incredibile. Pare infatti che le nostre, fossero scappate da una gita parrocchiale in visita al Papa, per potersi recare al Festival del Cinema in corso in questi giorni a Venezia e poter così incontrare di persona il loro beniamino: l’attore francese Alain Delon, la cui presenza si pensava prevista per la giornata di oggi. In realtà la notizia dell’arrivo della star internazionale è stata smentita e le tre donne, trattenute in caserma per tutta la giornata, sono ora imputate di lesioni gravi e tentata strage.
Intervistate in caserma dal nostro inviato che ha chiesto loro un commento a freddo, una delle tre anziane fans ha risposto:
“Al vento e ale done no se comanda.”
IRENE PUORTO
DATI PERSONALI
Irene Puorto
Nata a Bergamo il 6/11/1960
Residente in via Triussa, 10
24068 Seriate (Bergamo)
Indirizzo e-mail: irenepuorto@libero.it
Cell: 338/7444584
CURRICULUM
Di professione architetto–designer, svolgo anche l’attività di docente di arte e immagine e tecnologia nella scuola secondaria di primo grado.
Mi sono dedicata per anni alla progettazione architettonica e al design, poi, l’atto creativo ha cambiato direzione e ambito.
Dopo le classiche incursioni nella poesia e nei diari giovanili (e una vivace passione per la lettura), mi sono sempre più sentita attratta dalla scrittura. Così nel 2009 ho scritto un piccolo romanzo “La seconda vita” (auto-pubblicato nel 2010).
Al concorso Racconti On the road sono arrivata navigando sul web, attratta dalla tematica che era stata scelta dagli organizzatori, anche perché il viaggio (soprattutto quello in automobile) è un’esperienza che ho vissuto spesso con intensi momenti da ricordare insieme a mio marito che mal sopporta l’idea del viaggio aereo. Avevo già scritto un primo racconto, “Mistral” che ha per sfondo una serie di viaggi a Marsiglia ma con un’impronta molto grave, per non dire drammatica. (Tra l’altro anche questo racconto è arrivato in finale, ma per ovvi motivi, essendo io già tra i premiati, non si è più pubblicato).
La mia intenzione è stata quindi quella di cimentarmi con un racconto leggero, divertente, con una trama alquanto stravagante, quale appunto “Due secoli in tre” che è piaciuto molto alla giuria e mi ha portato al secondo posto nella terna finale. Altra fonte di ispirazione è stata la mia diretta esperienza personale della complicità fra tre sorelle (che nel racconto diventano tre amiche) accomunate da una passione comune (allego sinossi).
Continuo a scrivere, nel tempo libero, appagata dal grande apporto benefico che ne traggo.
In corso d’opera, alcuni racconti che vorrei far diventare raccolta, e che vorrei presentare a qualche casa editrice o a qualche concorso.
PREMIAZIONI E RICONOSCIMENTI
- 2010 Menzione di merito per il romanzo “La seconda vita”nella XX Edizione del Premio Letterario indetto dall’associazione culturale “Il Paese che non c’è” di Bergamo .
- 2013 Secondo premio e pubblicazione in raccolta con il racconto “Due secoli in tre” al Certame letterario “Racconti on the road” indetto da “Le Officine del Racconto” di Roma, in collaborazione con ANAS autostrade, Ministero dei Trasporti e Unesco.
- 2015 Menzione speciale e pubblicazione in antologia con il racconto (fuori concorso) “Altrove” al Premio Mimosa del Comune di Narni.
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